1965 Mestre, Galleria L’Elefante

Narrazione e favola nella pittura di Paola De Laurentiis

Marcello Azzolini

 


 confusione     Dopo la prima mostra personale tenuta a Bologna l’anno scorso, Paola De Laurentiis ha immediatamente allargato il giro della propria ricerca, conquistando, con una sorprendete rapidità, quell’impegno che già oggi la colloca, a buon diritto, in quel contesto di esperienze figurative che caratterizzano l’attuale campo culturale dell’arte.

Già quella di Bologna era una mostra che s’imponeva all’attenzione per la sua dignità e per una misura già notevole della ricerca poetica e dei mezzi di espressione Ma a confronto dell’attuale dimensione raggiunta dalla pittura della De Laurentiis, appariva come un approccio, una prima verifica del proprio operare artistico: quasi un assaggio dei propri mezzi e delle proprie possibilità.

Appare chiaro, a mio avviso, che alla base della sua rapida formazione, grande importanza ha quel colloquio che la giovane artista va svolgendo all’interno della situazione bolognese; una situazione senza dubbio di prim’ordine, nella quale passa tutto un filone di ricambio ideologico a livello europeo. Ma non possono consistere tutte in questo, le ragioni dell’inserimento della De Laurentiis, a livello di autenticità, nel tessuto di cultura, se si ponga mente al fatto che anzi taluni modelli del suo operare sono fuori assolutamente da una situazione emiliana.

Pur se alla base della stimolazione possa essere un quotidiano rapporto con i giovani artisti bolognese più qualificati, tuttavia la sua ricerca anche strumentale, persino tecnologica, ha una progenitura più lontana, anche se finora padana.

Non è difficile notare infatti che le disponibilità espressive del collage hanno trovato scarsa applicazione nella città delle due torri, ed in ogni caso in modi e con risultati e destinazioni ben diversi da quelli assunti dalla De Laurentiis.

Ma posto soltanto in questi termini il discorso rischierebbe di proporsi come una questione di priorità e di influenze, quando invece si deve badare – pur non negando la presenza di influenze – al fatto che innanzi tutto i quadri della giovane pittrice nascono da una viva e personale esigenza di racconto; e, viva il cielo, questo racconto si o presenta talmente disimpegnato da questioni sociologiche o umanitaristiche, da approdare alle rive più libere, anche se incantate – e certamente non meno suggestive – di una favolistica di largo respiro.personaggio in rosa Una favolistica corale, che regge benissimo le frequenti remore che solitamente la cultura moderna – e qui non si parla delle avanguardie – pone come condizione di validità. E’ una favolistica per adulti, che non inganna, che chiede anzi un minimo di fiducia ed un tanto di fantasia, sulle quali la suggestione tesse la trama delle immagini – tutt’altro che semplicistiche – proposte dall’artista con i mezzi di un linguaggio che soltanto apparentemente è d’azzardo, ma che in realtà è ancora quello più tipico della pittura.

Certo, la tecnica del collage è venuta assumendo una complessità tale da poter reggere anche il tipo di discorso figurativo più rischioso, il più introspettivo, aprendo nel contempo molte possibilità alle poetiche che nascono dalle istanze moderne.

Nei quadri della De Laurentiis preme l’urgenza di una narrazione serrata, complessa e perfino vorticosa; una narrazione nella quale tutto si propone immediatamente, come su un palcoscenico sul quale si rovescino contemporaneamente tutti i personaggi della finzione scenica, ansiosi di mostrarsi nei loro panni e svelare coralmente la loro storia, che prenderà invece corpo dopo, ma che intanto è in loro; ed il racconto è già nella loro presenza. Si tratta però di personaggi-cose, personaggi oggetti, oltre che di individui che nascono dalla insistita allusione; ma tutto ha un peso umano, premente, sollecitato, quasi anelante, come un’ansia di dire, che niente rimanga soltanto a livello di pura intelligenza, neppure nei disegni, pur così lucidi nella loro solare allucinazione.