1987 Ferrara, Palazzo dei Diamanti

Claudio Spadoni

 

Il bacioEsnunnaA quanto si vede, anzi, a quanto si fa vedere e si dice - che sembra contare anche di più – ci si sta avviando a passi spediti verso una ripresa di linee operative più orientate, se non proprio verso un "esprit de géométrie", certo nel senso di una "ragione" costruttiva. Magari in odore di recuperi minimalisti, di memorie concettuali, di "poverismi" ben comprensibilmente conciliati coi modelli consumistici.

Com'era abbastanza prevedibile, del resto, dopo anni di "libero arbitrio" pittorico condito con le più disinvolte dichiarazioni di poetica, le più wildiane teoriche (con qualcosa d'altro, s'intende, in più e in meno); il tutto, comunque, interpretabile quasi a piacere. Almeno in apparenza, anche se spesso l'apparenza è una maschera ambigua. E se di libero arbitrio si trattava (con grande trionfo di "trans" e "post" e "neo"), questo è stato bravamente pilotato. Comunque, può risultare molto opportuno e perfino necessario, in certi momenti, lasciarsi convincere dalle apparenze ed essere indotti a crederci, fino in fondo. Basterebbe fare la conta ad ogni giro di boa, o anche solo ad ogni sterzata di qualche effetto. Naturalmente ci sono anche artisti poco sensibili al mutare dei venti, inadatti alle strategie promozionali, sordi alle parole del gruppo. C'è forse qualcuno che riesce a fare a meno perfino di Flash Art e di simili vademecum del consenso internazionale organizzato (più o meno bene).

Anche per questo sono poco considerati e perfino ignorati da quella parte della critica (ed è la parte maggiore) che, fiutando l'aria con vigilissima attenzione, pensa di spiegare le proprie vele, soffiando di suo a pieni polmoni, nella direzione del vento che cambia. Importa poi poco se, per palese insufficienza toracica, il contributo offerto al corso degli eventi risulterà davvero irrilevante.

Ma, come si dice, conta la mossa: quella che pare giusta al momento giusto; sempre per vie delle... apparenze.

Sarà forse per reazione (magari irragionevole) a questo gioco delle parti, ma ci sembra che in tale scenario risulti ancor più motivato l'interesse rivolto ad artisti che rischiano sempre di trovarsi invece non allineati ovvero fuori copione. Che qualcuno continui ad ignorare le rotte di gran traffico, ci pare già un fatto positivo in tempo di conformismo programmato. Positivo ci sembra dunque il fatto che Paola De Laurentiis, da tempo presa in una sua personalissima ossessione, non si curi più di tanto d'apparire "in situazione", e anzi assecondi, con una fertilità operativa pari alla carica che la sostiene, quello scandaglio insistito, coinvolgente, nelle zone più inquiete del profondo, che costituisce la sua matura cifra espressiva. Una pittura quasi medianica, che si addentra in una visionarietà turbata per farne emergere oscure battute di violenza. Un flusso torbido e contaminato che dilaga oltre gli argini tranquillizzanti della consapevolezza. Un prorompere di una tragicità lontanante che s'incarna in segni quasi automatici, in colori ora brucianti, ora spettrali. Ritratti, o forse meglio captazioni di oscure corrispondenze. Riappaiono come maschere tragiche d'una commedia umana rivissuta attraverso i suoi rituali di ferocia e di dolcezza, di pulsioni di morte e di slanci vitalistici, d'ansie di trascendenza e di recuperi d'una fisicità aspra, quasi brutalistica. Ritratti impressi su tavole, frammenti lignei: icone di un teatro della crudeltà senza tempo, o di un tempo sconnesso, dove inconscio, memoria, preveggenza (anche del passato, come nel mito di Epimenide) risucchiano in un ghigno patetico le improbabili pose di quella che chiamiamo attualità.